01/11/2003 ~ DAY #7


Ultimo giorno di gruppo, ultimo giorno a Taize' per molti di noi, ultime preghiere insieme agli amici e compagni di avventura. Domani tocca a me fare le valigie, per adesso non voglio nemmeno pensarci, ho ancora tutto il sabato da vivere.
Il fatto che io mi ritrovi alle 20:00 in chiesa a completare il diario del giorno, testimonia quanto sia stato intenso questo giorno, fatto soprattutto di relazioni personali... su tutte, cito quelle con Daniel (Germania), Adela e Lucia (Slovacchia), Jesus (Spagna) e Krishna (Indonesia). Ho scambiato ottime parole con tutti, specialmente con gli ultimi tre perche' sono abitanti permanenti di Taize', ovvero restano qui per un periodo molto piu' lungo (da un mese ad un anno, invece di una settimana come ho fatto io) e sfruttano questo lungo tempo per meditare e lavorare nella comunita' secondo le capacita' di ognuno, condividendo la responsabilita' e l'organizzazione di tutta la comunita'.
A tutti loro, comunque, ho detto qualche mio pensiero su Taize': voglio davvero tornarci, quando Dio lo vorra', perche' qui ho trovato pace e riposo: mi vengono in mente proprio le parole di Gesu': "Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò" (Marco, 4:25). Sento in me la voglia di tornare alla mia vita, e l'invito a metterci qualcosa di piu' affinche' questa vita sia migliore, ma intanto qui ho fermato tutto e confrontato la direzione della mia anima con la bussola di Gesu' Cristo. Qui non ci sono diversita' o problemi tali da non potersi sentire accolti, benvenuti, amati. Davvero credo che questo piccolo paese in mezzo alla Francia sia stato costruito un pezzo del Regno di Dio sulla Terra.
Ecco, fra poco iniziera' la preghiera della sera, ed alla fine avremo tutti un incontro con frére Roger. Mi trovo di fianco ad una fila di almeno trenta cuffie capitanate da un cartello con la scritta "ITALIANO". Dietro di me ci sono altre cuffie per lo spagnolo, e dall'altra parte della chiesa siedono i lituani e gli svedesi. Tedeschi ed inglesi ascolteranno la traduzione in tutta la chiesa, e l'intervento sara' in francese.
Ancora una volta, la candela e' stata data a me e ad ogni fedele che si e' raccolto in chiesa. Alla mia sinistra arrivano i fréres, non ero mai stato cosi' vicino a loro e mi stupisco che solo ora, ad una manciata di ore dalla partenza, io abbia la curiosita' di osservarli nell'unica parte di vita comunitaria che condividono insieme a noi pellegrini.
Alcuni fréres si siedono, altri si inginocchiano; alcuni sono scalzi, altri vestono sandali ed altri ancora hanno le scarpe, ma tutti vestono il loro tipico abito bianco con il cappuccio. Non hanno croci o altri segni al collo, ne' braccialetti o anelli, e le maniche del loro abito raggiungono in certi casi le ginocchia, nascondendo cosi' le mani al loro interno. Non tutti usano il piccolo sgabello-inginocchiatoio (io adesso si'!) ma ci sono anche delle semplici sedie, presumo siano per gli anziani o per chi ne abbia comunque bisogno.
Adesso e' entrato frére Roger, attraversa il corridoio guardando davanti a se', appoggiando talvolta la mano sulla spalla di un confratello e, senza una parola, si avvia al suo posto in fondo alla fila. Il suo abito e' piu' corto, ben sopra la caviglia, e le maniche sono della sua misura. Sopra l'abito bianco, c'e' un soprabito color perla, segno della sua carica di priore ma, soprattutto, del freddo che disturba i suoi 88 anni.
Nella preghiera, fa quasi tenerezza sentire Gesu' invitare il malato a prendere il lettuccio e camminare (Giovanni, 5:1-9): mi giro verso frére Roger, curvo sulla sedia, e oltre queste parole mi viene da pensare che bisogna prendere la nostra croce e seguire Gesu'. Poi mi guardo sul petto, dove la piccola croce che indosso oggi mi offre qualche altro spunto di riflessione. Sara' proprio frére Roger, piu' tardi, ad invitarci tutti ad una preghiera silenziosa che ci unisca a Dio nonostante le diversita', rischiarando dentro di noi quel mistero luminoso che la Sua resurrezione ha risvegliato.
Prima di lasciare Taize', ho voluto avere un ultimo confronto con un frére, il quale mi ha riferito parole che non capisco e che mi addolorano, ma si tratta di cose che qui non riportero'. Quel che voglio dire in questo diario e' che ho davvero pensato di aver vissuto un incontro sbagliato... in fondo non siamo tutti perfetti, ed in cinque minuti non si puo' pretendere che un sacerdote possa sapere tutto della persona che ha di fronte, ma don Davide non e' d'accordo e mi invita a pensare. Anche se il messaggio mi sfugge, comprendo su me stesso che spesso la Parola di Dio e' dura, difficile e misteriosa, e ci offre considerazioni che non ci piacciono o che ci fanno male.
Guardo l'orologio e sono le 23:00. Decido che non sarei riuscito a risolvere il problema in breve tempo e quindi torno verso il mio letto. Un ragazzo sardo mi invita a prendere la chitarra e raggiungerlo all'Oyak per suonare e cantare, mi dispiace non andare con lui ma davvero non e' il momento.
Quando spengo la luce della camera, mi sento triste.

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